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Indagine clinica sui disordini cranio-mandibolari

I disordini Cranio-mandibolari (DCM) sono stati morbosi che affliggono larga parte della popolazione con segni e sintomi di sofferenza muscolare e articolare, limitazione nei movimenti mandibolari, rumori articolari temporo-mandibolari, ed incapacità della funzione masticatoria che per la peculiarità delle manifestazioni cliniche sono stati in passato spesso ignorati o travisati. Le moderne apparecchiature computerizzate per la registrazione dei movimenti mandibolari e della funzione articolare temporo-mandibolare oltre che di un apparecchio per elettromiografia di superficie sono indispensabili per la diagnosi ed i procedimenti terapeutici. Sono stati presi in considerazione 2170 pazienti di età compresa tra 15 e 75 anni (456 uomini e 1714 donne), scelti tra coloro che presentavano dentature più o meno complete o completate da apparecchi protesici ed avevano accettato di sottoscrivere un consenso informato ad iniziare e proseguire un trattamento ortopedico per la cura dei disturbi in atto.

Il campione di studio attentamente vagliato fra i pazienti giunti a visita e stato suddiviso tra quelli che lamentavano sintomi dolorosi, ascrivibili ad uno stato di ipertono e di sofferenza muscolare senza limitazione articolare (elencati come Gruppo A), e quelli che lamentavano principalmente segni e sintomi correlati a patologie articolari temporo-mandibolari di vario genere ma sempre di grado avanzato (Gruppo B).

In tutti i casi si è proceduto ad un primo esame clinico extraorale in ortostatismo e intraorale, coadiuvato secondo le necessità con i reperti di diagnostica per immagine (sempre OPT talvolta stratigrafie e RMN delle articolazioni temporo-mandibolari). In ciascun caso sono state rilevate le impronte delle arcate dentali per lo studio dei modelli in gesso. La raccolta anamnestica si è concentrata sulla presenza di stati di disagio, incapacità funzionale e soprattutto di dolori localizzati nel territorio della testa e del collo, identificando le sedi principali e le aree di irradiazione e valutando l’intensità soggettiva secondo una scala di valori da 0 a10. L’esame obiettivo invece ha permesso di osservare i segni rilevabili extra- ed intraorali, considerati espressione di alterazioni dell’occlusione dentale e della probabile presenza di parafunzioni.

La palpazione attenta delle regioni articolari e dei muscoli masticatori e cervicali è stata estesa fino all’inserzione inferiore del muscolo trapezio e scaleni per evidenziare stati di ipertonicità e dolori evocabili.

PROTOCOLLO STRUMENTALE In tutti i casi del Gruppo A lo studio ha compreso la scansione computerizzata dei movimenti mandibolari (Kinesiografia) e la contemporanea valutazione dei segnali elettromiografici raccolti con elettrodi di superficie (Sistema diagnostico integrato K6I, Myotronics, Tukwila, WA, U.S.A.). All’atto pratico è stata registrata l’attività muscolare di riposo e in massima contrazione, dei muscoli masticatori e cervicali laterali e inoltre sono stati rilevati i movimenti “borderline” della mandibola analizzati anche nella velocità nonché i movimenti mandibolari associati alla deglutizione. È stato quindi indotto il rilassamento muscolare mediante la stimolazione TENS a bassa frequenza dei nervi V e VII mantenuta per 45-60 minuti . Successivamente è stato individuato il tragitto compiuto dalla mandibola verso il contatto occlusale esistente ed avendone rilevato le anomalie di percorso è stato possibile registrare la posizione di contatto occlusale ideale mediante l’introduzione in bocca di uno strato di materiale acrilico in fase di polimerizzazione. Il protocollo adottato dalla nostra Scuola è lo stesso suggerito dalla Sezione italiana dell’International College of Cranio Mandibular Orthopedics (AIKECM). Il wafer di registrazione in resina ha permesso la costruzione in laboratorio di un dispositivo ortopedico intraorale (ortotico) idoneo a ricreare un rapporto mandibolo-cranico in corretto equilibrio morfologico e funzionale. Il protocollo terapeutico è concluso con l’uso continuo dell’ortotico (rimosso solo per necessità igieniche) e col controllo periodico della sua efficacia, al fine di incrementare il miglioramento dei rapporti occlusali. I pazienti del Gruppo B, hanno seguito un iter terapeutico diverso data l’impossibilità a procedere ab initio ai test sopra descritti a causa degli impedimenti dei movimenti articolari (Bergamini 1992, Pierleoni et al 2002). La metodica terapeutica in questi casi ha richiesto come atto preliminare la costruzione ed applicazione di un dispositivo intraorale di riposizionamento mandibolare costruito in modo da assicurare un contatto dentale “testa-testa” dei denti frontali. Tale dispositivo mantenuto rigorosamente per 24 ore al giorno ha lo scopo di favorire il miglioramento dei movimenti articolari e la risoluzione dei sintomi dolorosi correlati. Solo in un tempo successivo si è potuto procedere ai test utilizzati come per i pazienti del gruppo A.

Il primo dato analizzato riguarda la suddivisione fra i sessi calcolata sull’intero campione di studio (Gruppo A + Gruppo B) e vede una prevalenza di quello femminile (79%) rispetto a quello maschile (21%) 8 . Le decadi più coinvolte sia nelle femmine che nei maschi sono state la 3ª e la 4ª con interessamento decrescente per la 5ª e la 6ª (Grafico 1).

La maggior parte dei giovani pazienti compresi nella seconda decade erano in corso o avevano terminato di recente trattamenti ortodontici.

Il gruppo A rappresentava il 58% dei casi (1259 soggetti) e si distingueva per la spiccata dolorabilità dei muscoli masticatori e cervicali (Grafico 2). I muscoli pterigoidei esterni e gli sternocleidomastoidei sono risultati quelli più spesso dolenti. Oltre l’80% dei pazienti del gruppo A ha inoltre dichiarato di soffrire di episodi di cefalea e/o cervicalgia (talvolta associata a sensazioni vertiginose) ricorrenti con scadenza anche settimanale ed intensità in genere moderata. La sede più frequentemente interessata (Grafico 2) era il collo e la regione temporale fino all’arcata sopraciliare per lo più monolaterale. Il dolore in sede frontale era spesso bilaterale. Più raramente si sono individuati dolori al vertice, ai bulbi oculari, alle arcate dentali. Il gruppo B (42%) ammontava a 911 soggetti, e presentava in la prevalenza danni articolari, quali clic reciproci, crepitii, blocchi articolari e sublussazioni (7%) (Grafico 3). I clic in ogni caso rappresentavano i sintomi più frequenti (41%).

Per quanto riguarda il piano di trattamento, solo il 52% di tutti i casi è stato trattato con l’ortotico realizzato in equilibrio neuromuscolare; mentre il restante 47% è stato preventivamente curato con un riposizionatore mandibolare in occlusione in “testa a testa”. Rimane da segnalare che in un gruppo assai limitato di pazienti (meno dell’1%), caratterizzato dall’avere arcate dentali complete, è stato possibile ottenere la correzione di contatti dentali prematuri o deflettivi verificati con la TENS senza dover ricorrere a terapie ortopediche intraorali.

La durata media della terapia è stata di circa un quadrimestre per il gruppo A e fino a 12 mesi per il gruppo B. Per quanto riguarda gli esiti delle terapie i due gruppi sono stati valutati separatamente. Nel gruppo A il 45% ha manifestato la completa scomparsa dei sintomi e il 37% miglioramento parziale; il 12% infine ha avuto esito negativo e comunque ha abbandonato il ciclo terapeutico (Grafico 5). Nel gruppo B il 43% ha avuto un sensibile miglioramento della dinamica articolare e dei sintomi correlati, mentre il 44% ha conservato turbe dei movimenti articolari in grado variabile. Il 12% infine non ha avuto nessun beneficio terapeutico (Grafico 6). Nel complesso il 72% di tutti i casi (1562 pazienti) è stato valutato positivamente per decorso clinico e per risultati strumentali (Grafico 7 ). Per quanto riguarda la prevalenza di pazienti femmine con rapporto 1 a 4, si osserva che questo dato non è facilmente spiegabile, se non ricorrendo a considerazioni, tutte da verificare, circa la maggior disponibilità, nelle donne, di tempo e cura della propria persona. È stato accertato che le decadi 3ª e 4ª sono quelle più rappresentate in entrambi i sessi ed è possibile quindi che la rapida crescita scheletrica e la dinamica ormonale siano un fattore di predisposizione per rompere il precario equilibrio e scatenare la sintomatologia. Ciò sarebbe confermato dal più raro esordio in decadi di vita successive, anche se non sono mancati casi di soggetti ultrasessantenni che presentavano sintomatologie particolarmente intense. Un altro dato degno di nota riguarda l’incidenza di terapie ortodontiche in corso o da poco cessate in pazienti della 2ª decade. Tale aspetto meriterebbe un approfondimento che non è stato possibile compiere nei casi giunti alla nostra osservazione. Merita un commento il diverso tipo di procedimento terapeutico adottato nei casi definiti mialgici (per la presenza di sofferenze che presentano caratteristiche proprie delle sindromi miofasciali 15 ) e nei casi definiti artropatici per la presenza di noxae articolari organiche. Nei primi, infatti, abbiamo adottato indispensabili apparecchiature computerizzate atte a ricreare l’equilibrio neuro-muscolare dell’occlusione dentale, mentre nei secondi l’obiettivo iniziale è stato quello di avanzare i condili in una posizione più favorevole rispetto alle eminenze articolari, mediante un movimento protrusivo della mandibola, per ottenere una sorta di “decompressione” delle zone retrodiscali e consentire movimenti più liberi. Tuttavia anche in questi casi abbiamo successivamente indirizzato la terapia occlusale verso l’equilibrio neuro-muscolare. Questo diverso approccio clinico si è reso necessario per poter individuare quei pazienti che potevano essere studiati in maniera approfondita sulla funzione dei muscoli masticatori e cervicali. Il numero esiguo di pazienti che manifestano una sintomatologia algica disfunzionale senza mostrare una perdita di dimensione verticale – valutata sullo studio dello spazio libero individuale – mette in risalto due aspetti di particolare interesse (grafico 4). Il primo è quello di conferma sul profilo statistico che le più frequenti alterazioni dell’occlusione si associano a perdita di dimensione verticale per danneggiamento o perdita degli elementi dei settori latero-posteriori; il secondo invece sembra confermare il rapporto non lineare che esiste fra quantità del disordine e sintomatologia riferita. In questi pazienti le apparecchiature computerizzate sono state essenziali per guidare la terapia oltre che confermare la diagnosi del disordine e identificare i gruppi muscolari maggiormente coinvolti. Il dato più evidente riguardo alle patologie articolari è riferito all’incoordinazione disco- condilare comunemente priva di dolore dell’articolazione e dunque sovente sottovalutata a almeno fino a quando si sovrappone un fenomeno flogistico o si associano altri sintomi algici e disfunzionali. Mette conto rilevare il numero abbastanza alto di pazienti affetti da blocco articolare monolaterale o bilaterale pervenuti alla nostra osservazione. Questo dato è spiegabile con la decisa gravità di tale evenienza che ha indotto pazienti e curanti esterni a rivolgersi a strutture specializzate. Si segnala inoltre, che i pazienti con “ locking articolare” sono stati trattati per lo più con riposizionatore, senza interventi invasivi. Solo in un numero non precisabile di casi, i pazienti hanno subito manovre di ricattura manuale dopo anestesia di superficie o intrarticolare, sempre completate dalla successiva applicazione del dispositivo ortopedico. Per quanto concerne i risultati delle terapie eseguite si deve sottolineare che il rapporto percentuale diversifica rispetto alla suddivisione dei due Gruppi, nel senso che vi è stato un numero superiore di pazienti che si è dovuto sottoporre a terapie, di tipo ipercorrettivo, con riposizionatori in occlusione protrusa. Questa differenza di circa il 6% è imputabile al fatto che un certo numero di pazienti apparentemente compresi nel Gruppo A presentava in realtà anche danni articolari che hanno richiesto terapie assimilabili ai pazienti del Gruppo B. Si deve tener conto infine che il numero di coloro che hanno interrotto le cure non comprende esclusivamente pazienti insoddisfatti, ma anche individui che per motivi vari non hanno potuto seguire i controlli periodici e perfino coloro che ritenutisi soddisfatti dai risultati conseguiti si sono reputati guariti! CONCLUSIONI Le patologie descritte come DCM costituiscono evenienze morbose assai diffuse che peraltro devono essere affrontate sia nella fase diagnostica che in quella terapeutica seguendo scrupolosi procedimenti clinici. Infatti, solo con l’impiego delle sofisticate apparecchiature diagnostiche è possibile intercettare i rapporti mandibolo-cranici ideali che portino alla risoluzione positiva delle sofferenze. A questo proposito è evidente che l’adozione di dispositivi intraorali, sia costruiti in equilibrio neuromuscolare che in protrusione nella quasi totalità dei casi presi in esame ha confermato il fatto che nei DCM è pressoché sempre presente una diminuzione o perdita del supporto occlusale posteriore che induce un diverso atteggiamento posturale della mandibola, innescando quei meccanismi di ipertono muscolare e/o di distorsione articolare che provocano la comparsa di DCM e delle manifestazioni cliniche correlate. Ciò è perfettamente intuibile se si considera che per lo più le malattie dell’apparato masticatorio comportano alterazioni occlusali vuoi per la modifica delle superfici masticatorie vuoi per le migrazioni dentali e infine per la perdita dei denti stessi e pertanto il compito delle terapie ortopediche deve essere quello di ripristinare e vicariare i rapporti perduti. Questo fatto deve indurre ad una attenta riflessione perché la terapia ortopedica è un momento essenziale della terapia complessiva, ma solo raramente può essere conclusivo di per sé (come si è vistoselo l’1% dei casi è guarito soltanto grazie a ritocchi occlusali, ) ma richiede invece una successiva fase di stabilizzazione dei rapporti mandibolo-cranici ottenuto a seconda dei casi, con terapie ortodontiche, protesiche (più raramente chirurgiche) diversamente distribuite. Da ciò risulta che solo una stretta collaborazione tra settori diversi nell’ambito stomatologico può portare ad una efficace e definitiva terapia dei DCM.